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LA SCUOLA DI ATENE 1950-60: ERNESTO DE MIRO

Conversazioni del Direttore con gli ex Allievi.

terno secco

Atene, Scuola Archeologica Italiana, maggio 1955: Giovanni Rizza, Enrica Fiandra ed Ernesto De Miro (© Archivi G. Rizza)


Ernesto de Miro, laureato in Storia antica con Santo Mazzarino, è stato allievo della Scuola nel 1955 insieme ad Enrica Fiandra, Antonio Giuliano e Giovanni Rizza.

Eravate quattro compagni con un certo temperamento e destinati a una brillante carriera. Che ricordi ha dei suoi colleghi di allora?

Sono stato allievo dell’Università di Catania anche di Guido Libertini, l'archeologo gentiluomo, e di Santo Mazzarino, certamente uno dei maggiori storici dell'antichità, già a cavallo della seconda metà del Novecento. Sono stati essi che hanno particolarmente segnato - specie Mazzarino- con l'insegnamento, il mio futuro percorso di giovane studioso.

Il mio alunnato alla Scuola di Atene si è incontrato con il felice accadimento familiare della nascita della mia prima figlia, proprio nei giorni immediatamente precedenti alla partenza per la Grecia, partenza che dovetti ritardare, con il consenso del Direttore della Scuola, di un breve periodo settimanale, trascorso il quale mi imbarcai su una nave della “Adriatica”, sbarcando, non ricordo bene, a Igoumenitsa o a Patrasso. La traversata da Brindisi avvenne in compagnia del collega Vincenzo Rotolo (che sarà poi Ordinario di neo-greco all'Università di Palermo), diretto anche lui ad Atene per prendere servizio all'Istituto Italiano di Cultura, allora diretto dal noto grecista Bruno Lavagnini, che io non ho trascurato di incontrare spesso nel periodo dell’alunnato presso la Scuola.

Giunto ad Atene mi recai subito alla Scuola che aveva sede a Leophoros Amalias 56, trovandovi ad attendere, dopo essere passato dalla segretaria Paola Pelagatti, la signora Anna (kyria Anna fu da noi chiamata), la moglie del Direttore, Doro Levi.  Incontrai colleghi, che caratterizzarono una amicizia diversificata, ma fatta di comunità di intenti; innanzitutto Giovanni Rizza, amico insostituibile quale rimasto per tutta la vita, con il quale avevo già fatto esperienze agevolate presso l'Istituto di Archeologia dell'Università di Catania; l'architetto Enrica Fiandra, dalla vivace aggressiva intelligenza e Antonio Giuliano, un po’ meno costante per il suo carattere tendente all’isolamento, ma ugualmente buon amico. Io fui aperto e sincero con tutti, e non poche volte fui gradito interlocutore in momenti di dissenso e malintesi tra Rizza e Giuliano. Questa posizione mi agevolò nell’accogliere positivamente indicazioni comportamentali interessanti, quali il senso della misura e dell’equilibrio da parte di Rizza, e il saper attendere il momento giusto nella soluzione di un problema, da parte di Giuliano; risultò, pertanto, gradito il mio comportamento amicale e conciliativo, anche per Enrica Fiandra nella sua pur apparente spregiudicatezza e indipendenza di pensiero.

Dopo i rapporti fra noi allievi, non posso esimermi dall’accennare ai rapporti con la Scuola, prima quelli relativi al comportamento di allievi e regole, poi certamente quelli relativi allo svolgimento dello studio sotto la guida del direttore Doro Levi. Per quanto riguarda il primo punto, notevole è stata la presenza della kyria Anna, la quale, contrariamente ad un aspetto accigliato, si è rivelata sempre con carattere di protezione materna, avendo cura di chiedere della nostra famiglia e di avvertire su quello che dovessero essere i nostri contatti con la popolazione ateniese, greca in generale.

Il nostro alloggio di allievi era al secondo piano della palazzina; stanza comune per me e Rizza. Al vitto pensava la Scuola, si pranzava insieme; pietanze cucinate e servite dal cuoco tuttofare Kostas; piatti di alluminio, a segno di una situazione economica difficile soprattutto in Grecia, da pochi anni reduce di una guerra civile e, d’altra parte, il finanziamento per la Scuola dall'Italia lasciava a desiderare. Dopo le lezioni del Direttore, il pomeriggio si usciva, per quanto mi riguarda sempre in compagnia di Rizza, e si rientrava ad una certa ora stabilita, alla quale si sottraeva spesso Giuliano.

Si è dedicato a ricerche archeologiche in una prospettiva mediterranea e anche attraverso il tempo: città greche e indigene della Sicilia, Leptis Magna fenicia punica e romana, indagini a Piazza Armerina e in altri siti tardo antichi della Sicilia. La sua è stata una prospettiva di ricerca che è nata dalla Scuola di Atene? 

Le lezioni del Direttore si svolgevano al mattino sull'Acropoli, studiata non solo nei monumenti principali e nelle loro fasi costruttive, secondo una linea da Dörpfeld a Stevens (quest'ultimo particolarmente seguito da Levi), ma anche nelle tracce e nei segni sulla roccia lasciati da edifici non più conservati; le mura “pelasgiche” e le mura temistoclee; tutto in maniera esaustiva, secondo un metodo meticoloso, dettagliatamente descrittivo che, del resto, fu caratteristica di Levi in tutti i suoi lavori.

Ricordo le esplorazioni sul lato settentrionale dell’Acropoli con le cave, su cui Levi particolarmente si soffermava, come sulla controversa questione della “Enneakrounos”.

Da soli, “guida” alla mano, visitammo monumenti, quali il teatro di Dioniso, l'Agorà, la Aeropago, la Pnice, il Dipylon, il Ceramico. Prima di partire per Creta è toccato a noi allievi svolgere una tesina sulle conoscenze archeologiche in Atene. Io svolsi l'argomento la “Pnice”, argomento che mi appassionò tanto. Indimenticabile l'esperienza cretese, con la suddivisione dei compiti fra gli allievi, per cui Gortyna (l'Acropoli) andò a Rizza, Festòs a De Miro e Fiandra.

La precedente visita a Cnosso, a parte il fascino del mitico Palazzo, mi fu di insegnamento su quella che doveva essere la corretta tecnica di restauro, riprovevole quella ricostruzione del Palazzo di Cnosso di Evans, a confronto con il rigore conservativo delle rovine da parte della Scuola Italiana per quanto riguarda Festòs e Haghia Triada. Ritornando a Festòs il mio compito fu quello di seguire gli scavi diretti da Levi e selezionare il materiale relativo. La ricerca stratigrafica attinente il Palazzo, con un'attenta revisione dello scavo Pernier, consentì a Levi di individuare due diversi momenti protopalaziali rispetto al secondo Palazzo che conosciamo; di tanto rivolse all’allievo una indimenticata lezione. Mi è stata nel tempo presente la complessa questione cretese. Così come è stata viva nel mio ricordo l'esperienza del giro della Grecia, prima di tutto per l'aspetto umano, caratterizzato da una aperta accoglienza e simpatia da parte delle popolazioni, così come lo era stato ad Atene; non appena noi riconosciuti italiani, non mancava subito l'invito alla “taberna” o al “kafeneio”, a partecipare, o almeno assistere alla sonorità del “sirtaki” o del “bouzouki”.

Ma, evidentemente, il giro della Grecia è stata un'esperienza formativa di alto grado. Piace riportare quanto tuttora è rimasto nei miei ricordi. Rimanendo nell’Attica, il Pireo, il vivace lungomare, il Museo archeologico con il noto Apollo, quindi la misterica Eleusi, la cui visita e relative riflessioni mi hanno accompagnato sullo sfondo delle esperienze “demetriache” in Sicilia. Dopo, l’Argolide, Argo e la sua Agorà, l’articolato Heraion; Corinto, sconvolgente e disorientante, quale si rivelò allora, nell’intreccio cronologico dei resti, la panoramica ascesa ad Akrocorinto. Che dire della visita di Micene, con il circolo delle tombe reali e la “Porta dei leoni”. Sento di dover indugiare su Micene, per un po' di cronaca significativa; una notte insonne trascorsa in un alberghetto dei dintorni (Haghia Ilene), causa una invasiva presenza di scarafaggi nella stanza, che condividevo con Giuliano: scarafaggi acrobati lungo le pareti, e Giuliano che mi esortava a stare calmo e di attendere, come nella vita, aggiungeva, vale a dire il momento in cui l'insetto, raggiunto il soffitto sarebbe caduto, come in effetti avvenne. Bel ricordo della visita di Nauplia, con la sua atmosfera veneziana; Tirinto con i resti del Palazzo miceneo e le ciclopiche mura di difesa. Indimenticabile la visita del Peloponneso, i luoghi dell’Arcadia, il teatro di Megalopoli; quindi, l’insignificante Tripoli, finalmente Olimpia che con i suoi noti monumenti ci ha impegnato per qualche giorno. Indimenticata l'ascesa al tempio di Bassae a dorso di mulo, il tempio di Apollo Epikourios, allora visitabile nella sua evidenza e integrità. Che dire della delusione della visita di Sparta ormai anonimo abitato orbato del suo glorioso passato, come del resto ci preannunciavano le parole di Tucidide. In Focide indugiammo nella visita di Delfi; ricordo di avere avuto in mano il libro di Arias, La Focide vista da Pausania: il santuario di Apollo, i tesori votivi, lo stadio, la fonte Castalia, il Museo con l’Auriga, la tholos, le splendenti rocce Phedriadi.

Il nostro giro non ha compreso il settentrione della Grecia né le isole dello Jonio. In compenso visitammo le isole dell'Egeo, Samo, Lesbo, le Cicladi con Nasso e Mykonos: traversate tutte sui caicchi che misero a dura prova la nostra resistenza al mare. Talora con sofferenze “eruttive” da girone dantesco. Ci compensavano il grande interesse delle visite dei luoghi e la conclusione rodia con la sua sentita italianità della storia.

Il giro archeologico della Grecia ha avuto una desiderata appendice (subito sostenuta dal Direttore) con una breve visita in Turchia. Evidentemente la meta fu Istanbul: ancora vivo il ricordo dell’entrata all'imboccatura del Bosforo; il giro per Costantinopoli-Bisanzio, i quartieri cristiani lungo la sponda del Corno d'Oro e del Mar di Marmara, Santa Sofia con le sue cupole e la sua spazialità arricchita delle colonne dalla Grecia: città ibrida e complessa, come è rimasta nei nostri ricordi.

È da sottolineare come questo aperto programma di visite voluto dal Direttore rispondesse a quel respiro Mediterraneo, presente nella sua attività, anche da Iasos a Cirene, respiro che non fu invano a noi allievi trasmesso. Tale tendenza ha dato i suoi frutti nella mia attività scientifica di ricerca anche in Libia. L'insegnamento di Levi è entrato quale elemento costitutivo della mia formazione, e io gli fui sempre memore e grato: quando ricoprii la carica di Direttore dell'”Istituto di Studi Micenei ed Egeo-Anatolici” volli procurarmi l'occasione di incontrare l'anziano maestro Levi, invitandolo a tenere una conferenza nell’Istituto, invito che accolse lieto e sorridente.

V'è un ulteriore insegnamento che è venuto da Doro Levi, quando, da Direttore della Scuola, egli che aveva conosciuto l'esilio a Princeton, volle invitare per una lezione a noi allievi sul teatro di Dioniso, il professore Carlo Anti, noto accademico fascista, indicando che la scienza e la competenza vanno oltre ogni ideologia.

Per molti anni è stato professore a Messina e anche soprintendente di un vasto territorio della Sicilia (Agrigento, Caltanissetta ed Enna). Come coniugava ricerca e formazione con tutela e valorizzazione?

Fui soprintendente archeologico di Agrigento (con le province di Caltanissetta ed Enna) e nell'ultimo anno anche per le province di Palermo e Trapani, in un periodo in cui era stato perpetrato lo scempio dell’area dell’abitato medievale sul Colle da parte di una municipalità ignorante e corrotta, cosa che diede non poche preoccupazioni allora al soprintendente ai monumenti e al paesaggio competente con sede a Palermo, situazione successivamente del tutto mutata con rinnovata autorità comunale;  divenni protagonista (continuando l'opera dell’ottimo soprintendente mio predecessore Pietro Griffo), attento alla rigorosa applicazione della famosa legge di tutela Gui-Mancini, seguita alla legge votata dal Parlamento nazionale nel 1966, che dichiarava la Valle dei Templi zona archeologica di interesse nazionale, legge Gui-Mancini che perimetrava con vincolo diretto e assoluto di inedificabilità l'intera Valle, sito della città antica e il territorio limitrofo di rispetto. A tale provvedimento seguirono la costituzione del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle ad opera della Regione Sicilia, e il riconoscimento della Valle come patrimonio mondiale dell'UNESCO.

I miei, per un certo tempo contemporanei, impegni accademici, non mi impedirono di effettuare da soprintendente una rigorosa attività di ricerca e di tutela, quest'ultima dapprima osteggiata dalle autorità comunali e di parte della cittadinanza, sino a giungere a situazioni di anonime minacce letali contro la mia persona, con conseguenti interventi rassicuranti da parte dei prefetti.

Evidentemente l'attività di ricerca di tutela era estesa anche al territorio nisseno e a quello ennese. Mi corre l'obbligo di dire che l'enorme mole di attività suddetta mi è stata agevolata in quanto condotta grazie alla valida collaborazione del vice sovrintendente e direttore del museo archeologico di Agrigento, Graziella Fiorentini, la quale mi è poi succeduta nell’incarico di soprintendente di Agrigento.

Fra le sue plurime ricerche sui Greci in Sicilia, quale l’ha più interessata?

Pur non potendo determinare priorità e preferenze data l’ampiezza degli impegni istituzionali e dei temi delle attività di ricerca (e non solo, essendo investiti anche seri problemi di consolidamento e restauro dei templi e della intera collina su cui essi insistono), posso, tuttavia, tranquillamente confessare l'intima passione per la ricerca delle testimonianze precedenti alla fondazione di Akragas; mi rivolsi agli esiti delle rotte che tra XIII e XII secolo interessarono la costa agrigentina e il territorio interno; ebbi, così, a documentare la scoperta del villaggio miceneo-protostorico di Cannatello, ad est della foce del fiume Akragas: un emporio caratterizzato dalla presenza di reperti dalla Sardegna, da Creta, dall’Egeo, da Cipro; una fortunata circostanza a coronamento degli studi di ricerca sui rapporti fra l’Egeo e l'Occidente, in connessione con la cultura indigena. Problematica questa che svolsi anche all'interno del territorio, fra i fiumi Platani (antico Alykos) e Salso (antico Imera) in collaborazione con Vincenzo La Rosa, egeista proveniente dalla Scuola di Atene, e che mi onorava dichiarando di essere o di sentirsi mio allievo. Vi furono le ricerche che promossi nella Valle del Platani, con i siti di Sant'Angelo Muxaro e Milena, caratterizzati dalla presenza della ceramica di tipo miceneo e dalla presenza delle tombe a thòlos del primo sito; sulla stessa linea, lo scavo della necropoli e dell'acropoli di Polizzello, che ebbi, in base ai risultati, a definire come sito di un santuario pansicano, aperto alle comunità indigene del territorio.

Qual è il ricordo più bello e il ricordo più brutto del tempo trascorso alla Scuola?

La domanda mi si presenta come l'occasione per ribadire che l'esperienza dell’alunnato presso la Scuola Archeologica Italiana di Atene è stata fra i periodi e i ricordi più belli della mia vita, per la felice colleganza fra noi allievi, per l'efficacia dell'insegnamento da parte di Doro Levi, e soprattutto per la sensibile conoscenza del popolo greco, il cui ricordo ho portato sempre vivo, con sentita perpetuata partecipazione alle sue affermazioni, e in particolare alle talora sofferte condizioni attuali.

Nessun ricordo brutto, in quel periodo insostituibile e felice.



acropoli de miro

Atene, Acropoli, 19 maggio 1955: Gorham Phillips Stevens, Doro Levi, Ernesto De Miro, Enrica Fiandra, Giovanni Rizza e Antonio Giuliano (©Archivi G. Rizza)


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